5 MAGGIO IN PIAZZA CONTRO BUONA SCUOLA, GOVERNO RENZI E UE
È iniziata circa una settimana fa la discussione parlamentare del DDL “buona scuola”. Un testo che si pone in totale continuità con un ciclo di riforme iniziato alla fine degli anni ’90, l’ultima delle quali varata dal governo Berlusconi. Una pietra miliare nel processo di privatizzazione della scuola pubblica, che segnerà di fatto l’ingresso delle imprese nella gestione delle scuole statali in qualità di finanziatori, con voce in capitolo persino sull’offerta formativa. Scuole tecniche e professionali ridotte a fare la formazione per dipendenti di singole aziende, alle quali forniranno continuo ricambio di manodopera a basso costo a vantaggio unilaterale dell’impresa. Una inaccettabile aziendalizzazione delle scuole, che vedono ridotto il potere degli organi collegiali e accresciuta enormemente la discrezionalità dei Dirigenti Scolastici, trasformati in veri e propri manager che potranno selezionare i docenti più adatti al proprio progetto, e addirittura premiare i più “meritevoli” con bonus salariali. Una riforma inaccettabile, che mina nelle fondamenta la scuola pubblica per come l’abbiamo conosciuta e che tace vergognosamente sui temi del diritto allo studio e della gratuità dell’istruzione, mentre uno studente su tre in Italia non riesce a diplomarsi a causa della crisi.
Il 5 maggio i sindacati confederali hanno convocato uno sciopero generale, con l’appoggio delle organizzazioni studentesche. Una data fortemente imperniata sulla rivendicazione delle assunzioni promesse dal Governo (promessa che tutt’ora sembra ancora in bilico e che era già di per sé controversa, poiché prevedeva l’abbandono di 50.000 precari “colpevoli” di aver lavorato troppo poco) oltre che su una generale opposizione ai punti cruciali della riforma. Uno sciopero indubbiamente troppo legato alle dinamiche di uno scontro interno al Partito Democratico promosso dalla cosiddetta “minoranza dem”, e che dimostra tutti i suoi limiti nell’arretratezza di parole d’ordine e rivendicazioni che non riescono a uscire dalla logica delle battaglie di “retroguardia” proprie di questi anni, dall’incapacità di costruire una reale opposizione. Limiti che interessano in particolare le rivendicazioni avanzate dai sindacati studenteschi, che riesumano un vecchio progetto di Legge di Iniziativa Popolare (LIP), nuovamente depositata in parlamento. Una proposta, quella della LIP, in parte anche condivisibile per quanto riguarda alcune singole rivendicazioni, ma che si traduce per gli studenti in una grande illusione sulla natura di questo sistema e sulla possibilità di realizzare un cambiamento reale senza operare una rottura con la condizione attuale. Rivendicare l’innalzamento degli investimenti per’istruzione pubblica al 6% del Pil non è di per sé sbagliato, ma semplicemente non è possibile senza una rottura in primis con la fedeltà a UE e NATO, senza cioè mettere in discussione il fatto che ogni anno si spendano decine di miliardi per le spese militari, per pagare i soli interessi sul debito pubblico o per il mantenimento del MES; soldi tagliati all’istruzione, alla sanità e a un welfare ormai ridotto in ginocchio. Se non si compie questo passaggio fondamentale, chiedere semplicemente la restituzione alla scuola pubblica dei fondi tagliati negli ultimi anni, rivendicazione avanzata anche dalla CGIL, vuol dire alimentare illusioni sul ruolo di questo sistema e dell’Unione Europea.
Il capitalismo oggi conduce su scala continentale un attacco senza precedenti ai diritti dei popoli, revocando le concessioni del passato in materia di diritti sociali, utilizzando la leva del debito per produrre un massiccio trasferimento della ricchezza dalla periferia al centro, dal basso verso l’alto, nel nome dei profitti dei grandi monopoli. È in questo contesto che avvengono i tagli ai finanziamenti per la scuola pubblica e alle borse di studio, l’aziendalizzazione delle scuole e il loro asservimento agli interessi delle imprese private; uno scenario in cui i governi che si susseguono sono meri esecutori delle politiche imposte dai grandi monopoli bancari e industriali europei. Una serie di misure che dunque non si possono definire errori, ma che hanno piuttosto la precisa finalità dello smantellamento dell’istruzione pubblica per come l’abbiamo conosciuta finora, la costruzione di una vera e propria scuola di classe modellata, nel nostro caso, su misura per la Confindustria. Ne deriva che alla semplice lotta “economica” per il diritto allo studio, alle battaglie di retroguardia condotte periodicamente contro la riforma di turno in cui ogni volta si perde terreno, arretrando sulle conquiste, avanzando rivendicazioni parziali senza mai compiere questo passaggio fondamentale, deve subentrare una lotta cosciente e organizzata, che unisca le rivendicazioni di studenti e lavoratori (del mondo della scuola, e non solo) e sia capace realmente di costruire un’alternativa, rompendo la gabbia di questo sistema che oggi più che mai è incompatibile con la garanzia di un’istruzione di qualità a tutti gli studenti indipendentemente dalla condizione socio-economica. Non crediamo, infine, nella retorica del costruire il cambiamento (o una riforma) “dal basso”, una finta radicalità, troppo spesso solo lessicale, che troppi adoperano nel momento di necessità per celare rivendicazioni arretrate e inserite in un’ottica che non prevede alcuna rottura con lo stato attuale delle cose.
Come Fronte della Gioventù Comunista abbiamo ritenuto opportuno non rinunciare alla partecipazione alle proteste del 5 maggio, sulla base di due valutazioni fondamentali. La prima è che in questo contesto di forte propulsione mediatica, il mondo studentesco sarà inevitabilmente trascinato alla coda delle rivendicazioni promosse dalla CGIL e dai sindacati studenteschi. Una protesta che di fatto appare come l’unica mobilitazione contro la Buona Scuola, da cui, sul piano studentesco, è difficile tirarsi fuori. Nessuna illusione sul ruolo della CGIL, che ben sappiamo essere corresponsabile dell’approvazione delle misure antipopolari degli ultimi anni, ma riteniamo che il nostro compito di giovani comunisti in questa situazione sia non abbandonare al seguito dei sindacati concertativi gli studenti che vorranno protestare contro la riforma. Scenderemo in piazza con tutte le nostre parole d’ordine, e con queste parole d’ordine ogni nostro militante lavorerà nelle scuole per conquistare consensi, rompendo con le illusioni riformiste delle strutture che promuovono il 5 maggio, offrendo una prima alternativa di lotta pur sempre significativa nel contesto di una data che certo vedrà una ingente partecipazione. In secondo luogo, va tenuto presente che se oggi manca la capacità di intaccare in modo significativo il monopolio della lotta contro la “Buona Scuola”, attualmente detenuto dalla CGIL e dai sindacati concertativi, ciò lo si deve anzitutto all’arretratezza – non solo organizzativa, ma anche e soprattutto politica – delle strutture attuali, in un momento in cui sarebbe stato necessario il rilancio di un’offensiva di classe, di una saldatura reale fra studenti e lavoratori promossa dai settori più avanzati del movimento studentesco e del sindacalismo di classe.
Il 5 maggio scenderemo in piazza contro la Buona Scuola di Renzi, per rivendicare la totale gratuità dell’istruzione, dai libri di testo ai trasporti; l’abolizione dei contributi scolastici, di ogni tassa che grava sulle famiglie e dei finanziamenti alle scuole private; un piano di interventi urgente sull’edilizia scolastica di almeno 10 miliardi. Lottiamo contro l’asservimento delle scuole ai privati e alle imprese, contro il “curriculum studentesco” che mira ad abolire di fatto il valore legale del titolo di studio; contro gli INVALSI che impongono la distinzione fra scuole di serie A e di serie B, per un’istruzione omogenea e di qualità in tutte le scuole. Lottiamo contro la scuola di classe imposta dai diktat dell’Unione Europea, contro questo sistema che oggi più che mai non può garantirci un futuro!