NO AL RICATTO TRA SALUTE E LAVORO. Sulle misure restrittive e le proteste

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Comunicato della segreteria nazionale del FGC

Nella giornata di ieri il Presidente del Consiglio ha firmato il terzo DPCM nell’arco di due settimane. La situazione è critica, i contagi registrano un aumento costante e diffuso in tutto il paese. Come avvenuto lo scorso marzo, il governo prende tempo e spaccia misure parziali per atti di responsabilità. In primavera si era parlato di “lockdown totale” nonostante l’apertura di settori non essenziali, oggi il decreto Conte annuncia un semi-lockdown a fronte di misure parziali e inadeguate a contrastare effettivamente la diffusione del virus.

Un semi-lockdown destinato a irrigidire progressivamente le misure restrittive nelle prossime settimane, una condizione che sarebbe stata evitabile se il governo non avesse risposto in questi mesi con indifferenza o con la repressione alle richieste dei lavoratori di far rispettare le norme di sicurezza nelle proprie fabbriche e nei propri magazzini, se non avesse imposto agli studenti un rientro a scuola senza nessun intervento concreto per garantirne la sicurezza, se non avesse fatto nulla per potenziare il SSN già da mesi in sofferenza.

L’emergenza sanitaria aveva già dimostrato l’estrema fragilità del SSN dopo decenni di tagli e privatizzazione,  nonostante questo negli scorsi sette mesi non c’è stata alcuna misura strutturale per rafforzare la sanità e mettere in condizioni i medici e gli infermieri del SSN di affrontare questa seconda ondata con maggiore efficacia. Nessun intervento serio sul nodo della scuola, costretta oggi a privilegiare la modalità a distanza nonostante i proclami trionfalistici del Ministro Azzolina sul rientro. Nessuna misura di potenziamento reale sul fronte del trasporto pubblico, in cui la carenza di mezzi e personale ha costretto studenti e lavoratori a viaggiare ammassati senza possibilità di mantenere le distanze. In sette mesi si poteva intervenire con lungimiranza dove serviva, invece si è scelto di anteporre la ripresa dei profitti alla prevenzione della salute collettiva.

La volontà del governo di assecondare ogni istanza proveniente da Confindustria per limitare l’istituzione e l’applicazione di norme di sicurezza in grado di proteggere efficacemente i lavoratori ha determinato, con l’aumento esponenziale dei contagi,  l’inevitabilità di questo nuovo lockdown.

Questa seconda ondata è cominciata infatti a inizio settembre nelle fabbriche e nei magazzini con tassi di contagio ben più alti della media nazionale in quel momento. Il governo decise di non fare nulla, di non chiudere quei focolai e di non imporre il rispetto delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro. Mentre si demonizzavano i comportamenti individuali il governo lasciava campo libero a Confindustria per applicare liberamente misure di contenimento inefficaci e di facciata.

Da marzo ogni azione di Confindustria è stata indirizzata prima a concordare con il governo misure minime di contenimento nei luoghi di lavoro e a ritardare le chiusure, poi a crisi iniziata hanno proceduto a  minacciare milioni di licenziamenti e attaccare i contratti nazionali rivendicando salari più bassi e precari, dopo l’estate hanno invece deliberatamente continuato a produrre anche nelle aziende-focolaio impedendo la possibilità di qualsiasi intervento di contenimento.

Questi mesi di convivenza con il virus pesano sulla pelle di milioni di lavoratori esposti al rischio di contagio e alla minaccia dei licenziamenti. Pesano sulle tasche degli strati popolari, che devono fare i conti con la disoccupazione e i ritardi nell’erogazione della cassa integrazione. Lo stesso Conte ammette che le disuguaglianze sono aumentate, ma è proprio la strategia del Governo che ha prodotto questo risultato: dopo un lockdown parziale abbiamo visto stanziamenti miliardari a garanzia sui prestiti alle aziende. Queste misure di sostegno alle imprese non hanno impedito la perdita di migliaia di posti di lavoro, e il ricorso massiccio alla cassa integrazione – spesso senza che le aziende ne avessero bisogno e diritto – ha significato un taglio netto su salari e stipendi.

Si poteva imporre un vero lockdown a salario pieno e riportare a zero la curva del contagio. Il governo ha preferito assecondare a tutti i costi le richieste dei padroni di riaprire tutto e il risultato è la saturazione dei reparti negli ospedali e una nuova emergenza. Scartata l’ipotesi di sconfiggere il virus, si è scelto di conviverci in attesa del vaccino, con la promessa non mantenuta di tenere sotto controllo l’andamento dei contagi.

Con il passare dei mesi anche le misure emergenziali sul piano economico si sono stabilizzate, tracciando i contorni di una nuova normalità in cui a guadagnare sono sempre i soliti. Mentre i miliardari continuano a macinare profitti e si arricchiscono nella crisi, per milioni di persone prevale l’incertezza più totale.

In questi giorni si susseguono in tutta Italia diverse manifestazioni sull’onda della protesta dei commercianti di Napoli, che la sera del 23 ottobre hanno manifestato contro il lockdown regionale che era stato annunciato da De Luca, avanzando la legittima richiesta di indennizzi a fronte delle chiusure e misure in sostegno dei piccoli imprenditori in difficoltà. Una protesta, quella di Napoli, che esponenti del Governo hanno inizialmente liquidato come organizzata da settori criminali e organizzazioni neofasciste, rispolverando una strategia comunicativa ormai nota del Partito Democratico, che da anni all’occorrenza elegge a proprio avversario diretto gli insignificanti partiti neofascisti italiani. Un’operazione politica che, ancora una volta, ha regalato la luce dei riflettori mediatici a organizzazioni neofasciste che non avevano nessuna paternità su quella piazza (basti pensare che Forza Nuova a Napoli ha preso 183 voti alle ultime europee, lo 0,1%), ma che ora cercano di capitalizzare questa visibilità lanciando piazze e manifestazioni di “cittadini” e “commercianti” in tutta Italia, spesso con flop clamorosi come avvenuto a Roma la sera del 24 ottobre. A questo tentativo di strumentalizzazione fa da contraltare il tentativo di esponenti del Governo e di una parte dei media di mettere sullo stesso piano le manifestazioni negazioniste dei “no mask” e le manifestazioni spontanee che non negano l’esistenza della pandemia ma esprimono il legittimo rifiuto nei confronti di una serrata senza indennizzi e misure di sostegno.

Nei casi in cui le manifestazioni hanno una dimensione effettivamente “popolare” e non ascrivibile alla sola azione di formazioni politiche legate alla destra, emerge il carattere contraddittorio tipico dei movimenti della piccola borghesia, che in assenza di un forte movimento operaio capace di influenzarla e dirigerla non può che avere come obiettivo quello di salvare sé stessa e la sua proprietà in quanto tale. Sono piazze in cui c’è di tutto: lavoratori autonomi che si percepiscono come “imprenditori” senza di fatto esserlo davvero, piccoli commercianti che rischiano di finire sul lastrico e chiudere bottega, ma anche veri e propri padroncini il cui vero problema è la prospettiva di guadagnare quest’anno le cifre che di solito dichiarano al fisco, abituati ad approfittarsi della disperazione e della precarietà e a sfruttare nei modi più ingiusti e disonesti i propri dipendenti, che trascinano in piazza con sé. Se oggi la classe operaia è priva di quella coscienza e di quell’organizzazione che le permetterebbe di esprimere un punto di vista autonomo nella società, la piccola borghesia si dimostra capace di imporre le proprie rivendicazioni immediate come temi all’ordine del giorno per il Governo e l’intero Paese. Ma se la richiesta di indennizzi in base al principio “se ci chiudi, ci paghi” è legittima e non stigmatizzabile, le piazze che si oppongono a ogni misura restrittiva e chiedono di tenere tutto aperto (posizione espressa ad esempio dalla manifestazione al Vomero, sempre a Napoli) confermano che esistono settori della piccola borghesia che oggi concepiscono i propri interessi specifici in aperta contrapposizione agli interessi generali della salute pubblica e dei lavoratori che non vogliono ammalarsi per il profitto dei padroni. Spesso questa contrapposizione viene apertamente sostenuta con la narrazione che fa apparire i dipendenti pubblici e più in generale tutti i lavoratori salariati, che da anni vedono decimati i loro diritti, come dei veri e propri “privilegiati” con la pancia piena, contrapposti agli imprenditori non garantiti che rischiano tutto mettendo in gioco il loro capitale. Una visione reazionaria che senza alcun dubbio è coerente con l’idea che la piccola borghesia ha di sé, e che in questi giorni trova ampio spazio nei media e nell’informazione.

Oggi il Governo PD-M5S-LeU chiede nuovi sacrifici e insiste con la retorica sulla responsabilità individuale. Per settimane la movida è stata indicata tra i contesti a rischio, i giovani irresponsabili come principale veicolo del contagio. Una rappresentazione che si scontra con la realtà, fatta di trasporti affollati e insufficienti misure di sicurezza nei luoghi di lavoro. Oggi si adottano misure drastiche per colpire il “superfluo” per non fare un torto a questa narrazione, ricorrendo a numerose raccomandazioni sui rapporti interpersonali per cercare altri capri espiatori cui attribuire la responsabilità dei contagi. Una decisione che chiarisce le priorità del governo, che oggi impone la chiusura dei teatri nonostante in questi mesi abbiano registrato un numero irrisorio di contagi. In fabbrica e nei magazzini si continua a lavorare e si continuerà a farlo anche in assenza di adeguate misure anti-contagio, perché i profitti non si devono toccare. Oggi si continua a viaggiare su metro, bus e treni affollati, perché non c’è alcuna volontà di assicurare un trasporto sicuro per chi è costretto a uscire di casa per andare al lavoro: nei DPCM si parla di tutto, tranne che dei problemi concreti che abbiamo visto e vissuto in queste settimane di preoccupazione.

Di fronte al rischio concreto di saturazione dei reparti ospedalieri e alla curva preoccupante dei contagi, il governo ammette che si tratta di un momento critico ma interviene con misure parziali nella speranza che il vaccino arrivi in fretta. Lo stesso Conte ha affermato che l’obiettivo di azzerare i contagi è “velleitario” e che le misure predisposte dal governo servono a contenere i contagi in vista di una ripresa dei consumi in prossimità delle vacanze natalizie. Ancora una volta a orientare le scelte politiche del governo in una situazione così delicata è la tutela dei profitti e della produttività. La tutela della salute collettiva e il contrasto efficace alla pandemia dovrebbero venire al primo posto, ma a farla da padrone sono considerazioni di opportunità per mantenere saldo il sostegno della Confindustria e delle organizzazioni padronali.

In questi mesi centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza lavoro. La Banca d’Italia prevede un altro milione di posti a rischio non appena salterà il blocco ai licenziamenti. Sappiamo che questa ipotesi è pronta a diventare realtà, a detta dello stesso presidente di Confindustria Bonomi che preme con forza in questa direzione. Nel frattempo tutte le misure di sostegno ai padroni varate dal governo, con conseguente aumento del debito pubblico, verranno scaricate direttamente sui lavoratori e gli strati popolari. La gestione della crisi sanitaria e dei suoi risvolti economici non è cambiata dall’inizio dell’emergenza. Per questo motivo oggi assistiamo agli stessi temporeggiamenti e alla stessa retorica, come un déjà-vu fatto di appelli alla coesione e al senso di responsabilità. Rispediamo al mittente gli appelli all’unità nazionale, perché non siamo tutti sulla stessa barca e questi mesi di estrema difficoltà ce l’hanno dimostrato. Il governo chiede nuovi sacrifici, ma a pagare saranno sempre gli stessi, mentre i miliardari italiani in questa crisi hanno fatto affari d’oro aumentando i loro patrimoni e distribuendo dividendi da capogiro.

Il ricatto che contrappone la salute al lavoro e alla sicurezza sociale, che già nella scorsa primavera ci è stato presentato come una inevitabile fatalità, va rigettato. La seconda ondata dei contagi è arrivata con queste proporzioni anche a causa della precisa scelta politica di allentare tutte le misure preventive per venire incontro agli interessi di profitto dei capitalisti. Se la situazione epidemiologica impone che si prendano delle misure contenitive, queste misure vanno prese. Il profitto dei padroni non è una scusa accettabile per non farlo, e in nessun modo il costo di queste misure deve essere scaricato sui lavoratori e sulle fasce popolari. Si predispongano un reddito di emergenza per i disoccupati, i lavoratori autonomi e i titolari di piccole attività e tutte le misure necessarie a permettere ai lavoratori dei settori non essenziali di stare a casa con il pieno mantenimento del salario. Si prendano le misure necessarie per garantire davvero il funzionamento della didattica a distanza, per non ripetere il disastro che ha lasciato indietro migliaia di studenti. Si intervenga con un piano nazionale per i trasporti e la sanità, affinché non si ripetano le scene che tutti abbiamo visto. I soldi ci sono, basta fare delle scelte. Bloccare le spese militari folli, tassare i redditi miliardari, espropriare i grandi patrimoni che con la pandemia sono cresciuti. Nel pieno di un’emergenza di questa portata, sarebbe davvero il minimo. Non staremo a guardare mentre per l’ennesima volta le classi popolari saranno sacrificate sull’altare del profitto. Ci troverete ai nostri posti.

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