FUORI L’ITALIA DALLA GUERRA. 21 OTTOBRE IN PIAZZA A GHEDI, COLTANO E PALERMO. Comunicato della segreteria nazionale FGC
Il mondo è sull’orlo del baratro. In tutti i continenti si moltiplicano i focolai di guerra, accompagnati da una corsa agli armamenti senza precedenti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. La crisi capitalistica generalizzata, la competizione imperialista tra le vecchie e le nuove potenze del mondo capitalistico, le ambizioni di profitto delle oligarchie finanziarie di tutti i paesi minacciano oggi di trascinare i popoli nell’incubo di un nuovo conflitto mondiale.
In Europa, prosegue da un anno e mezzo la guerra che si combatte in Ucraina tra la NATO e la Federazione Russa, che appare ben lontana dal concludersi ma anzi vede svilupparsi nuove escalation con morti, profughi e devastazioni. In Medio Oriente, il massacro criminale portato avanti dal governo di Israele contro la popolazione di Gaza e la resistenza palestinese rischia di evolvere in un più conflitto più ampio in tutta la regione. In Africa, l’impressionante numero di otto colpi di Stato in tre anni ha dimostrato l’esistenza di una fortissima competizione tra le potenze capitalistiche per modificare le sfere di influenza esistenti. In Asia, è ritornata all’ordine del giorno la questione di Taiwan che si collega direttamente alle nuove alleanze militari statunitensi per la competizione con la Cina nell’Oceano Pacifico.
In questo quadro, il governo Meloni ha portato avanti una politica scellerata e guerrafondaia. Tonnellate di armi sono state inviate dall’Italia all’esercito ucraino, rendendo il nostro paese compartecipe del massacro in corso. L’Italia è in prima linea nella corsa agli armamenti con 27,7 miliardi di euro spesi per la difesa nel 2023, con un aumento di quasi 2 miliardi rispetto al 2022 e con l’obiettivo di portare le spese militari al 2% del PIL entro il 2028. Il governo promuove direttamente i piani di espansione del capitale italiano: “più Italia nei Balcani” e “un piano italiano per l’Africa”, mentre si conferma come il più fedele alleato della NATO e degli USA nell’Europa centro-meridionale.
Nelle scorse settimane, il governo Meloni ha dichiarato il proprio sostegno incondizionato all’estrema destra israeliana di Netanyahu, responsabile di innumerevoli crimini di guerra, dell’annunciato genocidio del popolo palestinese di Gaza e dell’escalation in corso, confermando il proprio rifiuto di riconoscere lo Stato di Palestina.
In nome della guerra, viene chiesto al popolo e ai lavoratori in Italia di accettare sacrifici e privazioni, derivanti dalle sanzioni, dall’inflazione e dai rincari in generale, dall’economia di guerra apertamente definita così dagli stessi vertici della Commissione Europea.
I costi economici e sociali della guerra vengono scaricati sui lavoratori e sugli strati popolari, come confermano gli attacchi a salari, pensioni e stato sociale. La propaganda martellante che inonda i media e la stampa a reti unificate ha precisamente l’obiettivo di compattare l’opinione pubblica nonostante il peggioramento delle condizioni di vita, di presentare la “vittoria” sui fronti di guerra come una necessità irrinunciabile in nome di presunti “interessi nazionali”.
In Italia, nonostante gli sforzi significativi che da più parti sono stati messi in campo, non esiste ancora un vero movimento contro la guerra, le cui identità e parole d’ordine siano chiaramente riconoscibili e conosciute a livello di massa e, soprattutto, capace di costituire un ostacolo reale alle politiche di guerra dei governi, legandosi a doppio filo alle esperienze di lotta operaia più avanzate e coscienti. Il governo Draghi prima, il governo Meloni poi, sono andati avanti come un treno nella direzione che è stata chiesta e ottenuta dai settori dominanti del capitale italiano.
Siamo ben consapevoli che buona parte delle ragioni stia nella debolezza del movimento operaio nella fase attuale. Ciò nondimeno, continuiamo a essere convinti che la costruzione di un ampio movimento popolare contro la guerra non possa essere demandata a un generico civismo e che, anzi, proprio i lavoratori possano e debbano essere il perno di questo movimento che abbiamo il dovere di costruire.
Affermiamo questo sulla base di una consapevolezza precisa: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra imperialista combattuta tra i padroni di tutti i paesi è la prosecuzione delle politiche capitalistiche che schiacciano ogni giorno i proletari di tutti i paesi. I mandanti dei piani di guerra sono gli stessi responsabili dell’ingiustizia quotidiana che ci viene imposta da questo sistema. Come logica conseguenza, anche la lotta contro la guerra è la naturale prosecuzione della lotta di classe, e non può che porsi su un terreno internazionalista, quello della fratellanza tra i popoli e i lavoratori di tutti i paesi contro i capitalisti di tutti i paesi.
Con questo spirito, da comunisti parteciperemo alle diverse mobilitazioni nazionali contro la guerra che si terranno in concomitanza nella giornata del 21 ottobre a Ghedi, a Pisa/Camp Derby e a Palermo, all’indomani dello sciopero nazionale del sindacalismo di base del 20 ottobre.
La divisione – del tutto evitabile – in tre manifestazioni separate fotografa lo stato di divisione del movimento di classe, l’esistenza di posizioni e prospettive eterogenee corrispondenti all’attuale stato di sviluppo del dibattito sulla guerra e l’imperialismo. Nonostante questi limiti, riteniamo che la giornata di mobilitazione nazionale del 21 ottobre debba essere quanto più incisiva e generalizzata, e che la sua riuscita possa realmente farci muovere dei passi in avanti nella costruzione di un grande movimento contro la guerra.
Parteciperemo a tutte le manifestazioni promuovendo una piattaforma antimperialista, internazionalista e rivoluzionaria, contro ogni forma di compartecipazione dell’Italia ai conflitti imperialisti in corso:
BASTA ARMI IN UCRAINA. Fermare l’ottavo pacchetto di armi preparato dal governo Meloni. Un anno e mezzo di guerra ha dimostrato che armare l’Ucraina non serve a difendere le popolazioni né a favorire la fine del conflitto. USA, NATO e UE stanno prolungando volutamente la guerra per i propri interessi.
FERMARE L’ECONOMIA DI GUERRA E LE SANZIONI. No allo scaricamento del costo della guerra sulle spalle dei lavoratori. Fermiamo l’aumento dei prezzi, il taglio alla spesa sociale, l’attacco ai diritti.
FUORI L’ITALIA DALLA NATO, FUORI LA NATO DALL’ITALIA. La favola della NATO come alleanza difensiva è insostenibile. Ritiro unilaterale dell’Italia dalla NATO, chiusura di tutte le basi militari USA e NATO sul territorio nazionale.
FERMARE LE SPESE MILITARI, RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE ALL’ESTERO. Entrambe non tutelano la “sicurezza nazionale”, ma l’imperialismo italiano e gli interessi predatori di grandi monopoli come ENI. Si investa su sanità, diritto allo studio, spesa sociale.
L’ITALIA RICONOSCA LO STATO DI PALESTINA. Porre fine al sostegno incondizionato ai crimini di Netanyahu contro la legittima lotta del popolo palestinese. Il sostegno all’estrema destra israeliana non difende la pace, al contrario legittima e incoraggia lo sterminio del popolo palestinese e prepara il terreno a una maggiore escalation in Medioriente.
CONTRO IL NAZIONALISMO E LA PROPAGANDA DI GUERRA. Diciamo no a chi vorrebbe creare un pensiero unico a sostegno della guerra e bollare come servi del nemico, “putiniani” o “amici di Hamas”, tutte le voci critiche.
CONTRO IL GOVERNO MELONI. Costruiamo un’opposizione operaia e popolare al governo dei padroni, contro la finta opposizione di PD e Movimento Cinque Stelle.
FUORI L’ITALIA DALLA GUERRA!