Le ragioni della protesta dei minatori spagnoli

La protesta è partita dalle Asturie, da Leon, Palencia, Aragona e Castiglia, le regioni minerarie che saranno colpite maggiormente dalla decisione del governo spagnolo, conformemente agli indirizzi della UE, di interrompere le sovvenzioni all’attività di estrazione mineraria, decretando la chiusura delle ultime miniere di carbone della Spagna. La «marcha negra» è così arrivata a Madrid, incontrando il favore della popolazione spagnola, proprio nel giorno in cui il governo Rajoy ha annunciato il pesante pacchetto di tagli. Nel complesso sono circa 8.000 i posti di lavoro a rischio che con l’indotto supererebbero di gran lunga i 30.000, in una situazione, quella spagnola, che vede già altissimi tassi di disoccupazione. Solo l’imponente manifestazione a Madrid ha rotto la cortina di silenzio che i media europei avevano applicato sulla protesta dei minatori. Ma quali sono le ragioni di questa protesta? Analizziamo alcuni elementi. La prima ondata di chiusura delle minisere in Spagna fu quella degli anni ’90, contemporanea alla grande ondata di dismissione dell’attività di estrazione mineraria in Europa. Molti ricorderanno la strenua resistenza dei minatori inglesi ai provvedimenti della Tatcher, così come la chiusura di gran parte delle miniere del Sulcis, in Sardegna, o nella Ruhr. In quella vasta operazione di dismissione, la Spagna vide una riduzione di circa l’80% dei lavoratori impiegati, con pesanti ripercussioni anche sull’indotto.

Con il regolamento 1407 del 23 luglio del 2002 il Consiglio d’Europa aveva deciso lo stanziamento di sovvenzioni per le attività di estrazione mineraria dei paesi UE. Il regolamento, a scadenza 10 dicembre 2010 non è stato prorogato, ma sostituito con altrettanto regolamento, il 787/2010, di carattere completamente opposto. Basta citare il titolo dei due regolamenti, per comprenderne a pieno il contenuto. Il primo infatti è intitolato: «sugli aiuti di Stato all’industria carboniera», mentre il secondo: «sugli aiuti di Stato per agevolare la chiusura di miniere di carbone non competitive». Ma è interessante analizzare nel dettaglio le premesse da cui partono i diversi provvedimenti, a testimonianza di una radicale inversione di prospettive, che lungi dal riguardare la sola impresa mineraria, si ritrova in ogni campo dell’attività economica, e di conseguenza, su tutto il mondo del lavoro.

Nel primo regolamento il punto di partenza era il necessario sostegno ad un’industria fortemente esposta alla competizione internazionale. «Lo squilibrio concorrenziale del carbone comunitario rispetto al carbone importato» – si legge nelle premesse – comporta che «la Comunità è diventata sempre più dipendente dalle importazioni di fonti di energia primaria», comprendendo che « la situazione politica mondiale conferisce una dimensione del tutto nuova alla valutazione dei rischi geopolitici e dei rischi di sicurezza in materia energetica, dando un significato più ampio al concetto di sicurezza dell’approvvigionamento».  L’Unione Europea nel 2002 puntava dunque ad una difesa della propria produzione energetica, anche attraverso il mantenimento di « una produzione minima di carbone» che secondo il testo del regolamento contribuirà a  « mantenere una percentuale di fonti interne di energia primaria che consentirà di rafforzare significativamente la sicurezza energetica dell’Unione.»

Va subito precisato che la questione ambientale ha qui una rilevanza piuttosto scarsa. L’impatto del carbone sul totale delle emissioni di anidride carbonica è  in Europa decisamente limitato, e le miniere europee hanno alti standard qualitativi. Recentemente Antonello Tiddia, rappresentante dei minatori del Sulcis, in una conferenza stampa di solidarietà ai colleghi spagnoli che si è svolta alcuni giorni fa alla Camera dei Deputati, ha illustrato le misure promosse dagli stessi minatori in questa direzione. Proprio sul dato dell’impegno a sistemi produttivi meno inquinanti il regolamento della Comunità sosteneva che «Una produzione minima di carbone sovvenzionata contribuirà inoltre a mantenere la posizione preminente della tecnologia europea in fatto di estrazione e combustione pulita del carbone e consentirà di trasferirla nelle regioni grandi produttrici di carbone fuori dell’Unione. Tale politica contribuirà ad una riduzione significativa delle emissioni inquinanti e dei gas a effetto serra a livello mondiale.»

Tenendo presente queste considerazioni è bene analizzare il nuovo regolamento che al contrario dispone la chiusura delle miniere di carbone, il 787/2010. La premessa è radicalmente cambiata: «Il modesto contributo della produzione sovvenzionata di carbone al mix energetico complessivo non giustifica più il mantenimento di tali sovvenzioni al fine di assicurare la fornitura di energia nell’Unione.» L’intera normativa è completamente improntata al principio di difesa del regime concorrenziale interno, considerando l’aiuto economico dello Stato un elemento di distorsione della concorrenza. «Al fine di minimizzare le distorsioni di concorrenza nel mercato interno derivanti dagli aiuti di Stato tesi ad agevolare la chiusura delle miniere di carbone non competitive, questi ultimi dovrebbero essere regressivi e strettamente limitati alle unità di produzione di carbone la cui chiusura è programmata in modo irrevocabile.» La normativa è chiarissima: gli aiuti sono per la dismissione, non certo per il mantenimento di un settore strategico.  Il governo Rajoy si è adeguato agli indirizzi economici stabiliti dalla UE ed ha sospeso gli aiuti alle miniere del Paese, decretandone di fatto, la chiusura.

Tutto questo accade nel momento in cui l’Europa aumenta la sua richiesta di carbone, +3,3% a fronte della diminuzione del 2,1% di gas e petrolio. L’enorme gap tra richiesta e produzione a livello continentale è stato colmato dall’aumento dell’importazione dagli Stati Uniti (+49%) favorito da una fortissima riduzione del prezzo (-26%). Mentre le miniere di carbone chiudono in tutto il continente le società monopolistiche americane, Arch Coal, Alpha Natural e Peabody Energy Corp, fanno affari d’oro sul mercato europeo con forti aumenti delle quotazioni finanziarie, azioni e futures, in alcuni casi superiori al 20%. Un dato sorprendente se si pensa che siamo in piena crisi economica e che lo stesso settore energetico è in crisi a causa della diminuzione della produzione e dell’abbassamento dei consumi privati, dovuto proprio alla crisi economica. Un settore strategico volutamente e scientificamente ceduto ai capitali monopolistici, in questo caso statunitensi, che potranno così conquistare un profitto sempre maggiore, a danno dei lavoratori europei, comportando nel complesso la perdita di un settore produttivo e un generale impoverimento tecnologico, industriale ed economico delle popolazioni europee.

Ancora una volta l’Unione Europea mostra tutta la sua natura predatoria, la sua missione nel garantire l’accumulazione di capitale in poche mani, definita con parole come «libertà economica», «concorrenza», che altro non sono che la maschera per gli interessi di grandi gruppi monopolistici internazionali. Oggi vengono colpite le miniere spagnole, ma qualsiasi settore dell’industria e del lavoro è esposto a questa condizione. Come non ricordare la sistematica dismissione si settori produttivi d’eccellenza e strategici per il nostro paese: dalla cantieristica navale, alle nuove tecnologie, all’industria automobilistica (che necessiterebbe di conversione, ma non certo di ridursi all’affitto delle nostre fabbriche come vorrebbe Marchionne), al tessile e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.  Tutto questo con conseguenze immediate di ricaduta sull’occupazione enormi, ma soprattutto con una distruzione sistematica delle forze produttive che schiaccerà la condizione di milioni di persone per moltissimi anni a venire.

La lotta dei minatori spagnoli, a cui si sta unendo in solidarietà l’intera popolazione spagnola, è una importante battaglia di resistenza contro questa condizione. Il Fronte della Gioventù Comunista ha inviato un messaggio di solidarietà in questi giorni proprio a testimoniare questa situazione e la vicinanza nella lotta, consapevoli che oggi solo un coordinamento delle lotte a livello internazionale può portare i lavoratori a vincere. «Perché le miniere e le fabbriche sono di chi lavora, e il futuro non è il capitalismo.»

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