SCIOPERO NAZIONALE AUTOMOTIVE: 18 OTTOBRE IN PIAZZA A ROMA CON GLI OPERAI, CONTRO RASSEGNAZIONE E ILLUSIONI. Comunicato della Segreteria Nazionale del FGC

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SCIOPERO NAZIONALE AUTOMOTIVE: 18 OTTOBRE IN PIAZZA A ROMA CON GLI OPERAI, CONTRO RASSEGNAZIONE E ILLUSIONI.

Comunicato della Segreteria Nazionale del FGC

Il 18 ottobre, FIOM, FIM e UILM hanno indetto uno sciopero nazionale di 8 ore del settore automotive, che coinvolgerà anche i lavoratori in somministrazione, contro il processo in corso da anni di desertificazione industriale e per la tutela dell’occupazione. Il giorno stesso si svolgerà una manifestazione nazionale a Roma con concentramento dalle ore 9.30 in piazza Barberini. La ripresa delle mobilitazioni organizzate e spontanee che ci sono state tra i metalmeccanici in questo ultimo anno in tutta Italia è un fenomeno che il FGC recepisce certamente come positivo.

I dati sulla cosiddetta “crisi industriale” – ovvero la ristrutturazione capitalistica in atto in questo settore – restituiscono un quadro agghiacciante. Nel luglio 2024, il calo produttivo rispetto a giugno è stato dello 0,9 per cento; su base annua, l’indice diminuisce addirittura del 3,3 per cento rispetto al luglio dell’anno scorso. Nel settore automotive va ancora peggio. La produzione di auto di Stellantis in Italia è crollata nel primo semestre del 2024 a -29,2% rispetto allo stesso periodo del 2023, e il calo sta interessando anche la realizzazione dei veicoli commerciali leggeri con -0,5%.

Dal 2014 ad oggi sono 11.500 i lavoratori diretti usciti dagli stabilimenti italiani di Stellantis, di cui 2.800 dagli enti centrali. E nel 2024 sono previste ulteriori 3.800 uscite incentivate. A questi vanno aggiunti gli oltre 3000 lavoratori in somministrazione che risultano licenziati al giugno 2024. Inoltre, più 183.000 lavoratori sono coinvolti in tavoli di crisi a livello nazionale o regionale. Tra i lavoratori del settore automotive che rischiano nei prossimi anni di subire casse integrazione, disoccupazione oppure riduzione del monte ore settimanale ve ne sono circa 70.000.

Lo scenario a cui siamo posti di fronte è quello di un settore con sempre meno lavoratori, con contratti sempre più precari all’interno della breve parentesi di ricambio generazionale presente fino a qualche anno fa, sottoposti a ritmi crescenti, i quali hanno una ricaduta diretta sulla sicurezza – già compromessa dai forti tagli avvenuti nel corso di questi anni. A tutto ciò si sommano i salari bassi e fermi da diversi anni, i quali sommati alla cassa integrazione, che pesa sulla fiscalità generale, hanno gettato decine di migliaia di famiglie operaie nella povertà.

La “crisi dell’automotive” la stanno pagando i lavoratori, mentre le imprese fanno profitti da capogiro. Stellantis con 24 miliardi di euro di utile operativo e oltre 18 miliardi di euro di utile netto è in cima alla classifica. A seguirla, Wolkswagen con 17,8 miliardi, Mercedes-Benz con 14,5 miliardi, Tesla con 13,8 miliardi e così via. Mentre amministratori delegati e portavoce delle aziende piangono lacrime di coccodrillo, chiedendo ulteriori incentivi statali e disinvestendo in quei siti che ritengono poco profittevoli, continuano ad arricchirsi sulle spalle di lavoratori, che da anni vedono l’inflazione crescere di decine di punti percentuali, con salari fermi ormai da trent’anni e senza la possibilità di arrivare a fine mese. Inoltre, sono peggiorate enormemente le condizioni di lavoro nelle fabbriche, tra tagli alle misure di sicurezza, aumento dei ritmi e delle ore di lavoro – che hanno contribuito direttamente all’aumento dell’incidenza di morti sul lavoro -, oltre che di contratti precari e in somministrazione.

Occorre sostenere le lotte degli operai metalmeccanici per la difesa del posto di lavoro, con il controllo operaio sulla produzione. È necessario farlo oggi a maggior ragione contro i piani di svendita dei consigli di amministrazione utili ai padroni per ottimizzare i profitti, ma dannosi per gli operai e per le loro famiglie.  La storia dei metalmeccanici in Italia è gloriosa: il loro contributo alle conquiste più avanzate del movimento dei lavoratori in questo paese è immenso ed occorre oggi ripartire da queste radici e dal protagonismo operaio per non tornare ulteriormente indietro. Come negli USA e in molti altri paesi che hanno visto una forte mobilitazione operaia proprio di questo settore, serve che i comunisti colgano l’importanza di queste ondate di scioperi e siano in prima fila per dare il proprio contributo affinché abbiano successo e rompano l’isolamento a cui vengono relegate da media e istituzioni.

Il governo Meloni, anche in questo frangente, è conseguente agli interessi del capitale e dei monopoli italiani. Nel caso Stellantis, in particolare, nonostante la retorica della necessità di tutelare il Made in Italy in funzione anti-francese, continua nel solco dei precedenti governi a trattare la multinazionale con i guanti di seta, garantendo incentivi (legati anche al passaggio all’elettrico) e sgravi fiscali. Tutto questo non solo con lo scopo di preservare il più possibile gli interessi del capitale italiano all’interno della holding, ma anche per evitare, in caso di smobilitazione repentina dei siti produttivi in Italia, un crollo dei dati relativi alla forza-lavoro impiegata, che andrebbero a minare quanto propagandato dalle forze di governo sul presunto record occupazionale raggiunto in questo anno e mezzo. Conseguentemente, continua nel solco delle politiche antioperaie. Come già fatto l’anno scorso con il Decreto Lavoro, il Governo Meloni precarizza i contratti in maniera enorme, contribuisce a smantellare le misure di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro inserendo il preavviso di dieci giorni al padrone dell’azienda nel caso di controlli, rende ancora più difficile e ricattatorio l’accesso a misure come la NASPI.

Allo stesso modo occorre denunciare le illusioni spacciate dal centrosinistra e dalle dirigenze confederali circa le necessità di apertura alla competitività, alla supposta “industrializzazione sostenibile” all’interno dei margini di questo sistema economico o sui presunti miracoli della “transizione verde”. Negli anni scorsi gli operai hanno visto coi loro occhi i risultati delle politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro e della competitività: svendita totale dei siti produttivi, delocalizzazione, licenziamenti, attacchi ai salari, precarietà ed ammortizzatori sociali usati a pioggia. Quei partiti che oggi rivendicano un “energico intervento statale” in nome della “transizione ecologica” sono i medesimi che da una parte hanno votato e sostenuto, quando erano al governo, politiche lacrime e sangue, mentre dall’altra incensano e promuovono la competitività dei monopoli e delle imprese italiane nei mercati globali proprio sul piano della “green economy”, nuovo terreno di profitti miliardari per i padroni, che poco ha a che fare con la prospettiva di tutelare l’ecosistema.

Ricordiamo bene la natura degli interventi statali teoricamente finalizzati a difendere l’occupazione fatti negli ultimi trent’anni. Accordi in cui sono stati regalati centinaia di miliardi di euro ad aziende come Stellantis, dietro a false promesse di reindustrializzazione, puntualmente disattese da nuove ondate di licenziamenti e casse integrazioni. Contestualmente venivano firmati contratti collettivi peggiorativi e votate leggi che attaccavano apertamente i diritti conquistati dal movimento operaio. Non si tratta unicamente di rivendicare, giustamente, il lavoro, se poi questo è fatto di contratti precari, a tempo determinato e in somministrazione, flagello che colpisce innanzitutto i giovani operai nel mondo del lavoro. Indirizzare i lavoratori verso tutto ciò significa metterli nel vicolo cieco prodotto da questo sistema in putrefazione: sistema all’interno del quale gli esponenti politici che difendono gli interessi dei capitalisti e gli industriali non ci pensano due volte prima di lasciare in mezzo ad una strada decine di migliaia di famiglie operaie.

Sosteniamo e promuoviamo lo sciopero e la manifestazione nazionale del 18 ottobre. Saremo fianco a fianco agli operai che non si rassegnano di fronte alle minacce di perdere il posto di lavoro, così come, in questi anni e in tutto il Paese, abbiamo lottato assieme ai lavoratori di diverse aziende – GKN, LEAR, MAGNETI MARELLI, WARTSILA per citarne alcune. Come comunisti, a maggior ragione come parte integrante del percorso di ricostruzione del partito politico della classe operaia, occorre che facciamo la nostra parte.

Tutti in piazza! Il posto di lavoro non si tocca: lo difenderemo con la lotta.