STUDENTI IN PIAZZA IL 7 OTTOBRE. CONTRO LA SCUOLA DI CLASSE DI RENZI, UE E CONFINDUSTRIA.
Il 7 ottobre la gioventù comunista chiama gli studenti di tutta Italia a mobilitarsi contro la scuola di classe imposta in Italia dai governi di centro-destra e centro-sinistra e dall’Unione Europea. Scenderemo in piazza per rivendicare una scuola diversa, che sia fatta su misura degli studenti e dei futuri lavoratori, e non modellata in base agli interessi delle grandi imprese, della Confindustria e dei padroni.
Sono ormai decenni che in Italia è in atto un processo di mutazione genetica della scuola statale, che parte dalla riforma Berlinguer passando per le riforme Moratti e Gelmini fino alla “buona scuola” di Renzi. Con lo slogan della “autonomia” scolastica si è promossa, dalla fine degli anni ’90 ad oggi, una crescente aziendalizzazione e privatizzazione dell’istruzione pubblica in Italia. Con lo slogan del “merito” vengono sistematicamente ridotte le spese per garantire a tutti il diritto allo studio. Questo processo ha subito un’accelerazione dal 2008 in poi, con lo scoppio della crisi economica. Da allora sono stati tagliati più di 22 miliardi alla scuola pubblica; il governo Renzi con la legge di stabilità 2016 ha programmato altri 660 milioni di tagli all’istruzione fino al 2018. Il risultato è che oggi la scuola in Italia è sempre più inaccessibile: migliaia di studenti scelgono dove studiare in base alle proprie possibilità economiche, mentre l’abbandono scolastico è alle stelle e uno studente su tre non porta a termine gli studi. Si afferma che i soldi per la scuola non ci sono, ma ogni anno si spendono decine di miliardi di euro per pagare i soli interessi sul debito pubblico o per le spese militari, e si regalano milioni alle scuole private: in tutto questo c’è una precisa volontà politica.
Mentre gli studenti finanziano la scuola di tasca propria, pagando i contributi economici che vengono ormai imposti dalle scuole per sopperire alla carenza di fondi, si cerca di legare sempre più la scuola pubblica alle imprese e al capitale privato. La riforma di Renzi va in questa direzione: sostituire progressivamente i finanziamenti statali con i finanziamenti privati, in un meccanismo perverso che renderà le scuole sempre più dipendenti dai finanziamenti delle imprese, che in cambio potranno asservire la scuola e la didattica ai propri interessi. A questo serve l’alternanza scuola-lavoro, oggi tutt’altro che formativa ma funzionale alla fornitura alle aziende private di manodopera gratuita o a bassissimo costo. Nei casi peggiori, intere scuole (in particolare istituti tecnici e professionali) vengono progressivamente convertite in un grande corso di formazione aziendale per una singola grande azienda (capofila di questa tendenza è ad esempio l’ENEL) , cioè in un grande bacino da cui attingere nuova forza-lavoro da assumere con contratti precari.
Tutto questo avviene nel contesto di una profonda ristrutturazione del sistema produttivo in Italia, che si ripercuote sul mercato del lavoro e sull’istruzione. I padroni hanno scelto di far fronte alla crisi con l’abbattimento del costo del lavoro, cioè con la distruzione sistematica di tutti i diritti sociali e con una dequalificazione complessiva del lavoro e dell’istruzione, pur di difendere i loro profitti. Il Jobs Act di Renzi ha definitivamente sancito la libertà di licenziare, eliminando di fatto il contratto a tempo indeterminato e condannando la gioventù a un futuro di precarietà e disoccupazione. La scuola e l’università vengono adattate a un mercato del lavoro che non necessita più di lavoratori specializzati, ma di lavoratori dequalificati e ricattabili: per questo sull’istruzione si taglia e la scuola diventa sempre più di classe, fatta su misura dei padroni e non degli studenti, per i quali è sempre più inaccessibile.
Da anni si riscontra una profonda arretratezza del movimento studentesco in Italia, ingabbiato nella logica delle battaglie giocate in difesa, per cui si lotta ogni volta contro una riforma peggiore della precedente senza mai avanzare di un passo, ma anzi arretrando sempre di più. Non si può più scendere in piazza nell’illusione che avanzare semplici richieste di riforma indirizzate al Governo possa comportare qualche cambiamento reale, né ci si può accontentare di mobilitazioni costruite sulla base del semplice ribellismo giovanile senza alcuna prospettiva chiara. Quello che serve oggi è una inversione di marcia. Bisogna uscire dalla logica degli studenti come soggetto autonomo del conflitto, comprendere che lottare per una scuola migliore significa inevitabilmente lottare contro un sistema che oggi ci impone una scuola fatta su misura per i padroni, che nega il diritto allo studio in favore del privilegio di pochi; significa legare le lotte degli studenti a quelle del lavoro, dei giovani disoccupati, in un fronte di classe che deve vederci protagonisti.
In questo senso il 7 ottobre può diventare un’occasione per rilanciare il movimento studentesco in Italia. Un’occasione per sferrare il primo vero contrattacco dopo anni di battaglie giocate in difesa. Il 7 ottobre costruiremo in ogni città spezzoni contro la scuola di classe, organizzando la lotta contro il modello di scuola imposto da questo sistema. Scenderemo in piazza per rivendicare una scuola totalmente gratuita, dai libri di testo ai trasporti, rivendicando la piena copertura dei costi dell’istruzione con finanziamenti statali. Rivendichiamo l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private e dei contributi scolastici, per una scuola che sia accessibile a tutti. Lottiamo contro lo sfruttamento in alternanza scuola-lavoro, rivendicando una giusta retribuzione e tutele per gli studenti in stage, per un’alternanza che sia davvero formativa e non funzionale agli interessi dei padroni, per una scuola che insegni il lavoro e non la precarietà. Vogliamo una riqualificazione di tutta l’istruzione pubblica e in particolare dell’istruzione tecnica e professionale, un aumento della collegialità nella gestione delle scuole contro le ingerenze dei privati e lo strapotere dei Dirigenti Scolastici, rivendichiamo un piano nazionale di interventi per l’edilizia scolastica. Lottiamo contro la scuola di classe imposta dai dettami di UE, BCE e FMI, contro questo sistema che ci condanna a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di diritti.